PRECISAZIONE

Il blog raccoglie gli articoli che sono stati pubblicati in merito agli incidenti e presto cercheremo di raccolgiere quanto più materiale sia possibile per ricordare queste anime. Il blog NON GIUDICA IN ALCUN MODO CHI-COME e PERCHE'!

NON SCORDIAMOLI E SOPRATTUTTO DIAMO LORO UNA SECONDA VITA NEI NOSTRI RICORDI.

Con la speranza che siano, anche se già troppi, gli ultimi!!

lunedì 31 dicembre 2012

COSIMO CASALINO

Si cala in acqua per disincagliare una fune, pescatore muore annegato

Si cala in acqua per disincagliare una rete, muore annegato

Cosimo Casalino aveva 29 anni. Si è calato in mare, nel porto, per liberare una rete da un'elica di un peschereccio ma, forse colto da malore, non è più riuscito a risalire. Sul posto la capitaneria di porto e i sanitari del 118

Si cala in acqua per disincagliare una fune, pescatore muore annegato

GALLIPOLI - Una tragedia sul fronte del porto. E una giovane vita persa in fondo al mare, in circostanze tutte ancora da chiarire. Una città dilaniata da dolore e stretta fraternamente intorno alla famiglia di un pescatore del posto. Nel tardo pomeriggio di oggi, nel porto di Gallipoli, succede l'irreparabile. Un giovane di soli 29 anni, Cosimo Casalino, detto Mino, è deceduto nel corso di un'immersione che secondo una prima ricostruzione dei fatti, avrebbe effettuato su richiesta dei membri dell'equipaggio di un peschereccio, per disincagliare una rete che avrebbe creato problemi alla barca, di rientro da una battuta di pesca, dato che la stessa sarebbe rimasta incastrata in un'elica. Secondo il racconto di alcuni testimoni invece non è escluso, che il giovane gallipolino si sia immerso nel fondale del porto per recuperare un "corpo morto" al quale ormeggiare la cima di prua di un moto barca.
Mimino Casalino, aitante e corpulento, era conosciuto nell'ambiente proprio perchè al di la della sua attività di pescatore era solito effettuare delle immersioni e delle operazioni in fondo al mare per disincagliare le reti o recuperare le cime dei pescherecci che stazionano lungo la banchina Ferrovia del porto gallipolino. Per lui un "lavoro" di supporto e di ausilio ai pescatori e agli armatori per guadagnare qualche soldo in più per portare a casa la giornata. Casalino, secondo i primi accertamenti, poco prima delle 18 era intento ad aggiustare alcune reti nel porticciolo del Canneto, quando è stato chiamato da alcuni pescatori di un peschereccio, per prestargli soccorso per il problema dovuto all'elica. Un'operazione, a quanto pare, in cui era particolarmente pratico.
Casalino ha quindi indossato la muta per calarsi in acqua e liberare la rete o la cima aggrovigliata. Oppure, secondo l'ulteriore ricostruzione, per recuperare il corpo morto sui fondali del porto, ad una profondità di almeno 7-8 metri. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto. Alcuni testimoni lo hanno visto calarsi e riemergere un paio di volte. Poi, nel tentativo di completare l'operazione, si è nuovamente calato sul fondo, ma non è più risalito, forse colto da un malore fatale. Non essendo più affiorato dopo oltre dieci minuti, è scattato l'allarme.
Gli uomini a bordo del peschereccio Sant'Antonio V (che secondo le prime ipotesi dovrebbe essere quello che ha chiesto l'intervento del giovane ormeggiatore) hanno capito subito che la situazione stava assumendo una piega inattesa. Almeno tre membri dell'equipaggio si sono gettati in mare per cercare di recuperare Mimino Casalino. Il corpo del giovane è stato recuperato sott'acqua, ma il personale del 118 prontamente allertato e giunto nell'area portuale non ha potuto far nulla per salvarlo, perchè l'ormeggiatore era già morto.
Nel contempo sul posto sono giunti i militari della vicina Capitaneria di porto, gli agenti del commissariato di polizia, i carabinieri e i sanitari del 118 che, come detto, hanno tentato di soccorrere il malcapitato una volta condotto sulla banchina dall'equipaggio della barca. Purtroppo, però, il massaggio cardiaco è risultato vano.
Non è ancora del tutto chiaro il motivo per cui il giovane non sia riuscito a riaffacciarsi in superficie: potrebbe essere rimasto bloccato da qualcosa, che gli ha reso impossibili i movimenti e, a quel punto, essere stato colto dal panico e, infine, da un malore. Saranno i successivi rilevamenti, comunque, a fare chiarezza sul drammatico episodio. La salma è stata trasportata presso la camera mortuaria dell'ospedale "Vito Fazzi" di Lecce, su disposizione del pubblico ministero di turno, Stefania Mininni.
Nell'area portuale lungo la banchina dove attraccano i pescherecci è stato da subito un via vai di gente e un pellegrinaggio intriso di dolore. Si odono il pianto a dirotto di parenti e amici più stretti del giovane pescatore, mentre con il calare delle tenebre nell'area del porto riflettono solo i lampeggianti dei mezzi delle forze dell'ordine.
Si cala in acqua per disincagliare una fune, pescatore muore annegato
Un notizia choc che ha bloccato tutte le manifestazioni di piazza e gli incontri già programmati per la campagna elettorale. Nelle sale della biblioteca di Sant'Angelo si è chiuso in anticipo il confronto organizzato dalle associazioni culturali e cittadine (il giovane faceva parte di una di esse, la Off Limits) con quattro dei cinque candidati sindaci che si sono presentati all'appuntamento. Annullate anche tutte le manifestazioni legate alla campagna elettorale e in particolare i comizi previsti in piazza Carducci. Un segno doveroso di rispetto per onorare la memoria del giovane gallipolino tragicamente scomparso.

FRANCESCO VEZZANI 9 Mesi dopo

Morte senza un perché da nove mesi

I genitori del tecnico subacqueo deceduto mentre lavorava a 38 anni attendono ancora i risultati dell’autopsia

SAN MINIATO. Tutte le mattine si ferma davanti a quella foto in salotto e la fissa per qualche minuto. Solo così può realizzare, ogni giorno, che il suo “bimbo” non c’è più. Il tecnico subacqueo Francesco Vezzani morì sul lavoro il 23 febbraio scorso nelle acque di Castiglioncello mentre stava effettuando delle opere di manutenzione ad un ondametro per conto della società “40 South Energy”. Sua madre Giovanna Luciana non l’ha potuto piangere nemmeno al funerale: era in ospedale, dopo essere stata colpita il giorno prima da un’ischemia causata dal dolore e dalla disperazione. Per la famiglia di Francesco, che negli ultimi anni si era trasferito da San Miniato a Castelfiorentino per andare ad abitare con la moglie Elisa, la tragedia di Punta Righini si rinnova quotidianamente. Anche perché è ancora contornata da numerosi punti oscuri. Troppi gli interrogativi irrisolti. Ancora tante le risposte che i genitori di Francesco aspettano da quella maledetta mattina di febbraio.
Con gli occhi gonfi di lacrime, ci ripetono più volte che a distanza di nove mesi dal tragico incidente non sono ancora riusciti a sapere di cosa è morto il loro figlio, se si è accorto di morire e se ha sofferto. Un infarto? Un’embolia? Un altro tipo di malore? Un eccesso di azoto nel sangue? Un decesso da annegamento per qualche problema o guasto alle attrezzature? Le domande rimbalzano nelle teste di Giovanna Luciana e Amadeo, senza però trovare punti di riferimento.
«Sono trascorsi ben nove mesi da quel giorno – ci spiegano i genitori di Francesco Vezzani – ma ancora non siamo riusciti a sapere alcunché rispetto ai risultati dell’autopsia che il magistrato ordinò sul corpo di nostro figlio. Il nostro avvocato, Sergio Martelli di San Romano, ha richiesto più volte se ci fossero novità alla procura di Livorno, ma è tutto fermo. Ma perché? Non riusciamo a comprendere i motivi. È tutto molto inspiegabile. Significa anche non aver rispetto del dolore di due poveri genitori che un giorno, all’improvviso, non hanno più visto il loro figlio tornare dal lavoro. Vogliamo sapere perché Francesco è morto. Pretendiamo di conoscere le cause del decesso, attraverso le quali sarà poi possibile ricostruire meglio la dinamica dell’incidente».
Il padre di Francesco è stato personalmente in procura a Livorno pochi giorni fa, ma gli hanno detto che non avevano documenti in più. «Me lo ricordo benissimo – racconta Amadeo –: subito dopo l’autopsia ci fu detto che per la perizia sulle attrezzature dovevano passare circa 60 giorni, mentre per i risultati dell’esame sul corpo bastava una ventina di giorni. Era il 30 aprile quando, in occasione di una mia visita in procura, mi fu detto che una prima perizia sulle attrezzature era stata redatta e che l’avrei potuta acquisire insieme a quella sull’autopsia. Ma di questa non si sa ancora nulla. Penso di essere nel pieno diritto di sapere per quale motivo mio figlio di 38 anni è morto improvvisamente e, soprattutto, se poteva essere salvato o soccorso in modo più efficace».
Mamma Giovanna Luciana si lascia andare a qualche sfogo, pienamente comprensibile. «In tutta questa storia – dice – ci sono tante cose che non quadrano. In quel periodo, Francesco lavorava troppo, erano in pochi a fare quelle operazioni e praticamente s’immergeva tutti i giorni, quando per legge avrebbe dovuto avere a disposizioni dei giorni di “fermo” per ripulirsi dall’azoto nel sangue. Inoltre, a fare quel tipo di lavoro erano solamente in due (nonostante le normative prevedano una terza persona). Infine – aggiunge – un giorno vorrò parlare perbene e in modo approfondito con il collega di Francesco, quello che poi ha tentato di soccorrerlo per primo. Voglio sapere da lui come sono andate esattamente le cose. Da quanto mi hanno raccontato dopo l’incidente, sembra che sia stato perso tempo prezioso, perché dopo aver sentito per radio mio figlio ansimare, la comunicazione si interruppe. A quel punto, però, colui che era in superficie, anziché tuffarsi immediatamente, si preoccupò di cambiare la batteria alla radio e di riprovare a mettersi in contatto. Ma Francesco erà già in fondo, morto».

FRANCESCO VEZZANI

Sub morto, il dolore della moglie: «Non è possibile»

Francesco Vezzani, 38 anni, è morto in mare mentre era al lavoro. Originario di San Miniato, viveva a Castelfiorentino. Sotto choc i familiari avvertiti di quello che era successo soltanto diverse ore dopo

CASTELFIORENTINO. L’altro pomeriggio Francesco Vezzani, 38 anni, era a casa della madre Giovanna sulle colline di San Miniato, dove il sub morto ieri mattina a largo delle coste di Castiglioncello, ha abitato fino al 2005. Prima di trasferirsi a Castelfiorentino dove vive con la moglie Elisa. Un pomeriggio in famiglia. L’ultimo. Perchè un tragico destino ha impedito a Francesco di tornare a casa.
Mentre il sub stava facendo alcune operazioni di manutenzione a una boa a largo di Punta Righini ha avuto un malore – questa la causa più probabile della tragedia – che gli è costato la vita.
Inutili i tentativi di un collega, Daniele Cappanera, 41 anni, di Livorno, di soccorrerlo. L'allarme è scattato intorno alle 10.30 quando al 113 è arrivata una telefonata concitata del sub livornese: «Il mio amico sta annegando, fate presto». E ieri alle 14.30 i familiari di Vezzani ancora non erano stati informati del grave lutto.
Hanno rischiato di apprendere la notizia dalla televisione o dai cronisti: il nome del povero Francesco si poteva leggere nelle notizie sul tragico incidente sul lavoro.
La madre, Giovanna Luciana, è nel giardino della villetta dove abita con la figlia Fabiana Simona. Non immagina neppure lontanamente che non potrà riabbracciare il figlio se non nella bara che lo restituirà ai parenti prima del funerale.
«È al lavoro – dice la madre della vittima non sapendo ancora quello che è successo – sono tre o quattro anni che lavora per un’azienda di Rosignano. Fa il sub, è la sua passione. Si occupa anche di installazioni per impianti ecologici. Ieri (l’altro giorno, ndr) era qui da noi, avreste potuto incontrarlo. La sua vita ormai è a Castelfiorentino con Elisa».
Ci accoglie al cancello. È in giardino, vicino a una siepe ben curata in un pomeriggio di sole. Uno scambio di poche parole, il nostro. Che termina appena ci rendiamo conto che il pensiero della donna è molto lontano dalla triste realtà. Poco dopo però la tragica notizia le viene comunicata e per lei, come per la moglie e gli altri familiari del giovane sub, inizia un incubo.
«Sto andando da mio marito a vedere cosa è successo – dirà poco dopo Elisa, che abbiamo raggiunto al telefono – cercate di capire il nostro dolore, non sappiamo neppure quello che è successo. Parleremo dopo, sono sconvolta, non riesco ancora a crederci».
Vezzani era originario di San Miniato dove è nato e dove ha abitato fino al 2005 in via Cafaggio sulle colline vicino a La Serra. In passato ha lavorato anche come operaio nel settore delle falegnamerie prima di riuscire a lavorare come sub. Un’attività a cui era molto attaccato e che affrontava con tutte le conoscenze e precauzioni necessarie.
Da ieri pomeriggio sia a Castelfiorentino che a San Miniato i familiari del sub morto sono nella disperazione. Hanno perso un figlio, si chiedono cosa possa essere successo. Sperano che almeno l’autopsia possa aiutarli a comprendere e che le indagini aiutino a capire cosa è realmente accaduto ieri mattina nel mare di Castiglioncello.
Anche se niente do tutto questo potrà cancellare la disperazione di chi ha perso una persona cara. La tragica notizia ha sconvolto i due paesi, dove Vezzani, che avrebbe compiuto 39 anni il prossimo 9 marzo, era molto conosciuto e stimato.

PAOLO COSTA

Muore durante immersione Paolo Costa, sub di troupe televisiva di Geo&Geo

Sub troupe tv muore in immersione
Sardegna, incidente durante le riprese

Paolo Costa, subacqueo di una troupe televisiva di Geo&Geo, è morto durante un’immersione nella sorgente carsica di Su Gologone, nel comune di Oliena (Nuoro). Per un altro sub, una donna, è stata allertata la camera iperbarica dell’ospedale de La Maddalena. L’incidente sarebbe avvenuto durante la fase di risalita quando i componenti della troupe, in tutto quattro persone, erano impegnati nella decompressione.
Costa e stava lavorando alla realizzazione di un servizio per la popolare trasmissione di Rai3 “Geo & Geo”. Costa, 60 anni, originario di Iglesias, era un medico appassionato di immersioni e riprese subacquee e lavorava come freelance. L’immersione è avvenuta a 107 metri di profondità.
Costa avrebbe avuto un malore, un infarto secondo i medici del 118, durante la risalita e sarebbe stato sostenuto dalla sua compagna di immersione Maria Masuri, 45 anni, di Dorgali. La donna, nel tentativo di aiutare il collega, ha abbreviato i propri tempi di decompressione, da qui la necessità per lei della camera iperbarica.
da TGCOM

GIORGIO TINAGLI

Isola D’Elba Giorgio Tinagli sub vigile del fuoco muore mentre fa rilievi su un relitto

Sub muore mentre fa rilievi su un relitto
La vittima è un vigile del fuoco
L’uomo, un 45enne di Campiglia Marittima, si era immerso per l’associazione di volontariato Explorer Team Chimera
Stava effettuando ricerche e rilievi attorno ad un relitto: si è sentito male ed  è morto. E’ successo all’Isola d’Elba.
La vittima è un subacqueo, un  vigile del fuoco del distaccamento di Piombino, Giorgio Tinagli,
45 anni. L’uomo, di Campiglia Marittima, si era immerso per l’associazione di volontariato Explorer Team Chimera.
Ha avuto un malore mentre era in mare in località Punta del Nasuto: non  è servito l’intervento dei soccorritori che lo hanno portato sul molo del porto di Marciana Marina.
da lanazione.it

domenica 30 dicembre 2012

CRISTIANO IELASI

Napoli

Morto durante immersione di verifica
Il titolare di una ditta incaricata di verifiche alla nuova condotta idrica di Capri, Cristiano Ielasi, 32
anni, di Ischia, è morto mentre si immergeva per raggiungere la profondità di 80 metri.
Ielasi, titolare della ditta «TecnoSub», con la propria imbarcazione attrezzata per le verifiche tecniche si
era recato a controllare lo stato della condotta sottomarina per incarico dell' associazione di imprese «Mantovani, Reserch e Codemar» di Bacoli, che stanno effettuando i lavori per la realizzazione del nuovo acquedotto sottomarino dell' isola.
L'acquedotto collega Punta Campanella con gli impianti di Capri, che si trovano alle spalle del porto turistico.
Nel pomeriggio di sabato, a circa 300 metri dalla costa e ad 80 metri di profondità il subacqueo - secondo quanto hanno raccontato i suoi colleghi - si era immerso dicendo che si sarebbe trattenuto in immersione per 10 minuti circa.
Abordo i compagni hanno controllato il risalire delle bolle d'aria emesse dal sub. Quando si sono accorti che a galla non ne risalivano più, preoccupati si sono immersi ed a circa 30 metri di profondità hanno avvistato Ielasi privo di sensi.
Immediatamente lo hanno riportato in superficIe per prestargli i primi soccorsi. Ielasi a bordo di un gommone è stato trasportato nel porto commerciale di Capri, dove sulla spiaggetta diMarina Grande un medico che si trovava in zona gli ha prestato i primi soccorsi in attesa dell' ambulanza che era stata chiamata dalla Capitaneria di Porto.
Il sub è giunto esanime all' ospedale Capilupi, dove i sanitari hanno tentato invano la riamimazione.

FRANCESCO TORTORELLA

Subacqueo annega nel porto di Multedo GENOVA . Francesco Tortorella, 49 anni, e' morto ieri mattina nelle acque del porto petroli di Multedo. E' stato colto da malore mentre ispezionava una boa. Il sub lavorava per la ditta "Drafin Sub". Soccorso da un elicottero dei vigili del fuoco, e' giunto cadavere al "San Martino".
(7 gennaio 1992) - Corriere della Sera

sabato 29 dicembre 2012

OTTAVIO BAUMRGARTNER

Castelnuovo don Bosco: giovane sub muore durante immersione in un canale


La tragedia ieri a Sermide nel Mantovano. Il giovane Ottavio Baumgartner di 21 anni stava effettuando dei lavori di pulizia in un canale per il raffreddamento delle turbine in una centrale elettrica
 
Vasto cordoglio ieri sera a Castelnuovo Don Bosco, nell'astigiano, alla notizia diffusa in paese della scomparsa di un giovane subacqueo di 21 anni Ottavio Baumgartner morto mentre per lavoro si era immerso in una vasca d'acqua per il raffreddamento delle turbine di una centrale elettrica.
La sciagura è avvenuta a Sermide nel Mantovano all'interno della centrale Edipower. Il giovane era impegnato nel lavoro per conto della ditta Arte Sub di La Spezia.
Ottavio Baumgartner con alcuni colleghi si era immerso da una mezzora in una cisterna profonda tre metri che serve per effettuare il raffreddamento delle turbine. Non vedendolo riemergere i colleghi hanno dato l'allarme.
Nel giro di pochi minuti il giovane è stato riportato in superficie, ma ormai era senza vita. Sono in corso accertamenti medici  per stabilire le cause del decesso.
A Castelnuovo Don Bosco lascia il i genitori che gestiscono un'oreficeria ed un fratello, Giovanni di 25 anni, anch'egli subacqueo professionista che gestisce un'attività nautica in Tailandia.

ALESSANDRO CUPPINI

Sub morì per attrezzatura inadeguata
Condannato a 18 mesi il datore di lavoro

Ha patteggiato un anno e mezzo con la sospensione condizionale il 49enne di Trento titolare della ditta di Villazzano specializzata in lavori subacquei, datore di lavoro di Alessandro Cuppini, il sommozzatore di 47 anni morto il 9 dicembre 2008 mentre era impegnato nella manutenzione della diga dell’Enel a San Pellegrino.

Il sub, che abitava a Terzolas, in provincia di Trento, era morto per una acuta insufficienza respiratoria, mentre si trovava sott’acqua, impegnato in un’operazione di «cianfrinatura», ossia tappare con delle pezze di tessuto le falle fra le paratoie metalliche dello sbarramento sul Brembo, situato a nord del ponte Cavour, vicino a via Aldo Moro, danneggiato durante la piena del 30 ottobre 2008.

Secondo l’accusa, il sommozzatore lavorava senza il brevetto subacqueo di operatore tecnico e non era stato sottoposto agli accertamenti sanitari obbligatori per questo tipo di lavoro. Inoltre il pm contestava a al 49enne la sottovalutazione del rischio legato al lavoro in una zona segnalata come pericolosa. Non solo: secondo le contestazioni non erano stati designati lavoratori che potessero intervenire per gestire l’emergenza e non era stata fornita ad Alessandro Cuppini un’idonea formazione professionale al fine di fargli acquisire idonee competenze per eseguire in sicurezza i lavori subacquei.

Ma è sull’equipaggiamento che si sono concentrate le accuse del pubblico ministero. Per l’accusa, infatti, il 49enne avrebbe fornito al sommozzatore «attrezzatura subacquea in cattivo stato di conservazione e manutenzione». Scrive il pm nel capo d’imputazione che «la manutenzione veniva fatta mediante l’utilizzo di pezzi non originali che determinavano il malfunzionamento dell’erogatore del primo stadio e della maschera: quest’ultima presentava una rottura incollata sulla ghiera di plastica». E poi, «la sporcizia riportata all’interno del primo stadio poteva ingenerare una continua erogazione all’interno della maschera che poteva ostacolare la corretta respirazione/espirazione creando i presupposti dell’affanno».

Inoltre, stando alle contestazioni, la dotazione di Cuppini non prevedeva sistemi alternativi di respirazione né era stato controllato che fosse attivo il sistema di comunicazione tra il sommozzatore in acqua e i colleghi a terra. Infine, sempre secondo il pm, il 49enne «non disponeva la presenza di un subacqueo di sicurezza». In pratica, conclude il pm nel suo capo d’imputazione, Cuppini, che stava operando in acque molto fredde, «a causa della pessima manutenzione dell’attrezzatura si trovava in stato di difficoltà respiratoria con accumulo di anidride carbonica».

Per la mancanza di un sistema di comunicazione, il sub non era riuscito ad avvertire i colleghi in superficie. I quali, sempre stando alle conclusioni del pm, non avevano potuto recuperarlo, perché mancava pure l’imbragatura. Quando era stato recuperato, per Alessandro Cuppini - che in passato aveva lavorato come cineoperatore freelance in zone «calde» del pianeta - non c’era purtroppo già più nulla da fare.

VVF CARLO DI GIUSEPPE

Teramo- Perde la vita un sommozzatore dei vigili del fuoco di Teramo, Carlo Di Giuseppe, 55 anni, mentre si addestrava al largo della costa di Giulianova (Te), insieme a un collega. Il fatto e’ avvenuto nel primo pomeriggio, quando in immersione Di Giuseppe si è sentito male. Aiutato dal collega è risalito in superficie dove è stato soccorso da un altro vigile rimasto sul gommone. Chiamato l’elicottero dei Vigili del fuoco di Pescara, che si trovava in zona, l’uomo è stato issato a bordo e portato sulla banchina del porto di Giulianova, dove era ad attendere un mezzo del 118. Inutili i tentativi di rianimarlo. (Fonte: Piazza Grande quotidiano abruzzese)

MORENO DE BIASE

Giovane sub muore dopo 15 giorni di agonia

  GROSSETO. È morto dopo un’immersione subacquea. È morto sul lavoro. Perché Moreno De Biase, 32enne diver grossetano, sott’acqua non ci andava per hobby vacanziero ma per guadagnarsi il pane. “Artigiani dell’acqua”, chiamano quelli come lui. Gente invisibile, che nel mondo invisibile degli abissi costruisce. Moreno nell’ambiente era conosciuto come uno dei più bravi. Per questo lo chiamavano da ogni parte d’Italia e non solo. Per questo era stato fra i protagonisti di una grande avventura come il recupero dei tesori del Polluce. Per questo il 13 aprile, alle 5 del pomeriggio, era immerso nelle acque del Garda, assoldato dalla ditta Sub Iper di Brescia per allestire un campo di boe da ormeggio voluto dal Comune di San Felice del Benaco.
 Un lavoro semplice, quasi banale per uno come lui. Tre o quattro metri al massimo di profondità. E invece in quella “pozzanghera” Moreno De Biase ha trovato la morte. Un malore in acqua, l’asfissia, il coma e poi la fine, dopo due settimane di agonia. I medici del reparto di rianimazione dell’ospedale di Desenzano hanno decretato che non c’era più nulla da fare nella mattinata di giovedì. Ieri mattina il suo corpo, dopo l’autopsia è stato riconsegnato ai familiari. Il babbo Paolo, la mamma Raffaella, il fratello più giovane, Danilo, e Manuela, la fidanzata follonichese di Moreno, che sin dal giorno del drammatico malore sono saliti sul Garda per stare vicini giorno e notte al loro caro.
 Proprio la madre, Raffaella Galluccio, insegnante a Grosseto, non ha resistito al dolore. Alla vista del corpo senza vita è crollata, tra le lacrime dei familiari e dei colleghi del figlio, giunti a portare l’estremo saluto all’amico. Intorno all’una di ieri il feretro è partito per Grosseto dove alle 15.30 di oggi, nella chiesa della Sacra Famiglia si celebreranno i funerali.
 Sulla morte di Moreno De Blase, incidente sul lavoro, è aperta ovviamente un’inchiesta della magistratura. Il dramma, come detto, si è consumato il 13 aprile, verso le 17, nello specchio d’acqua antistante il porticciolo di San Felice del Benaco. Moreno lavorava a non più di quattro metri di profondità, in immersione probabilmente già da alcune ore. Aveva quasi finito, i compagni lo aspettavano sul gommone d’appoggio. D’improvviso gli stessi colleghi hanno visto bolle d’acqua salire in superficie. Hanno capito subito, si sono tuffati e hanno tirato su Moreno ormai privo di conoscenza. La pronta rianimazione dei sanitari del 118 riuscì in extremis a restituirgli il battito cardiaco e una flebile speranza di vita, spentasi 15 giorni dopo. Quasi certamente il giovane sub grossetano è rimasto vittima di una congestione intestinale, ma solo l’autopsia potrà chiarire con precisione che cosa abbia causato il malore e probabilmente se ci sono responsabilità legate al mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro.
 Ma ora è il momento del dolore. Straziante, quello di mamma Raffaella, che ieri sera all’obitorio del cimitero ha mozzato il fiato e lacerato i cuori dei tanti amici e conoscenti arrivati per stringersi alla famiglia.
 Una famiglia conosciutissima, che da sempre abita in via della Serenissima. Come conosciutissimo a Grosseto era Moreno, nonostante ormai da diversi anni, seguendo la passione del diving, fosse emigrato all’Elba. Diplomato al liceo scientifico, in tanti lo ricordano bagnino a Castiglione, già catturato dal richiamo del mare. «Questa maledetta passione me l’ha portato via», ripeteva ieri sera disperata mamma Raffaella. Quella “maledetta” passione che Moreno aveva trasformato in un lavoro. Bello, difficile, a volte capace di uccidere.
Emilio Guariglia

RODOLFO ANNICCHIARICO

Morire di lavoro. In fondo al mareLa trentaduesima vittima è un o peraio sub di 59 annirimasto schiacciato al largo dell'ElbaÈ la s econda tragedia in pochi giorni in provincia diLivorno dopo quell a alle Acciaierie

di Luciano De Majo
Stavolta la morte bianca ha colpito al di là del canale. In mare, per la precisione. Dalle Acciaierie di Piombino la tragedia del lavoro si è spostata nelle acque che circondano l'isola d'Elba. Ieri mattina un sub di 59 anni è morto, schiacciato a 20 metri di profondità da un tubo che stava cercando di posizionare sul fondale. La vittima si chiamava Rodolfo Annicchiarico e viveva a Latina con moglie e figli. Era dipendente di una ditta di Caserta, la Technosub di Caserta, che aveva ricevuto dalla Comunità montana dell'Elba l'incarico di sistemare la tubazione per un lavoro di restauro delle condotte della rete fognaria. È ancora presto per capire come siano andati i fatti con precisione. Per tutta la giornata di ieri, nella sede della Capitaneria di Portoferraio i colleghi del sub hanno reso le loro testimonianze davanti ai militari impegnati nella ricostruzione della dinamica del tragico incidente. Per ora è possibile formulare solo ipotesi: secondo la più attendibile, Annicchiarico è rimasto schiacciato dal tubo che stava lentamente raggiungendo il fondo del mare, attraverso due galleggianti che, per cause che dovranno essere stabilite, hanno ceduto facendo precipitare la condotta. Il tubo che si stava immergendo e che doveva essere posizionato era lungo circa 50 metri, per un diametro di 50 cm, e pesava alcune tonnellate. Per l'uomo è stato praticamente impossibile liberarsi e tentare una via di fuga. La Procura livornese ha aperto un'indagine, affidata al sostituto procuratore Mario De Bellis, che ha disposto l'autopsia sul corpo del sub ed il sequestro di tutte le attrezzature del sub e del pontone attraverso il quale venivano effettuati i lavori. Fra i primi ad accorrere a Marina di Campo, il centro elbano più vicino al luogo dell'incidente, il presidente della Comunità montana Danilo Alessi con l'assessore Maria Grazia Mazzei. Anche il Comune di Portoferraio, la principale città dell'isola d'Elba, ha espresso il proprio cordoglio per la morte del sub. «Il dolore è particolarmente sentito dice il municipio di Portoferraio - in considerazione del fatto che era impegnato nella realizzazione di un'opera pubblica, peraltro di grande rilievo, quale la condotta sottomarina per lo smaltimento delle acque fognarie di Campo nell'Elba». E nel giorno in cui si registra la trentaduesima morte bianca dall'inizio dell'anno in Toscana, la Regione, attraverso l'assessore al Lavoro Gianfranco Simoncini, ha presentato due progetti per combattere l'altra grande piaga del lavoro sommerso. «Non è certo con la legge Bossi-Fini - ha spiegato - che si può pensare di governare il problema dell'immigrazione clandestina e di affrontare la piaga del lavoro nero. L'unico modo per affrontare una questione che assume, anche nella nostra regione, i caratteri drammatici del caporalato ed è spesso strettamente intrecciata con i problemi della sicurezza e della tutela della salute, è quello di far emergere ciò che, fino ad oggi, resta ancora in buona parte sommerso». Simoncini ha quindi ricordato che «la Regione ha attivato iniziative che puntano sulla formazione, sull'alfabetizzazione, l'accoglienza, strumenti per l'integrazione sociale e la stabilità occupazionale. È solo favorendo l'integrazione, infatti, che possiamo pensare di aggredire alla base fenomeni che si autoalimentano in una spirale perversa e difficilmente controllabile». In particolare, l'assessore ha ricordato due progetti, già finanziati per un milione e centomila euro, inseriti nel Patto per l'occupazione e lo sviluppo ed ha annunciato che la Regione ha deciso di avviare una ricerca per approfondire i contorni di un fenomeno a tutt'oggi sfuggente e difficile da definire e quantificare
28 maggio 2005 pubblicato nell'edizione di Firenze (pagina 1)

LUIGI LONGO

Il sub morto a Marano nel 2004 usava il


Un tragico filo nero lega la morte dei due sub sloveni con la disgrazia che il 26 luglio del 2004 costò la vita a Luigi Longo, il 34enne sommozzatore professionista goriziano annegato nelle acque della laguna di Marano. Il tragico filo nero ha un nome e si chiama ”rebreather”. Si tratta di un’apparecchiatura messa a punto per scopi militari: impedisce l’emersione delle bolle d’aria.
Ma c’è un altro legame tra le due Tragedie del mare e a ricordarlo sono i genitori di Luigi, Orazio e Carmela Longo: «Mio figlio era un sommozzatore esperto e aveva ottenuto il brevetto nella miglior scuola esistente, quella di Marsiglia. Era stato addestrato nella Legione straniera e aveva lavorato nei mari di tutto il mondo. Quel giorno in laguna doveva eseguire per conto della ditta Geomar dei controlli sul tubone che porta in mare aperto i liquidi trattati dal depuratore. La disgrazia è avvenuta a una profondità di 14 metri. A tradirlo è stato il cattivo funzionamento proprio del rebreather che quel giorno usava per la prima volta. Quell’apparecchiatura proveniva dalla ditta Nicola Donda di Trieste, la stessa che ha fornito la stessa apparecchiatura ai subi deceduti a Trieste».
La morte di Luigi Longo aveva provocato l’apertura di un’inchiesta della magistratura. Dopo gli accertamenti la società Nicola Donda è uscita indenne. Assolto.
«Noi non abbiamo preso un centesimo di risarcimento dei danni - specifica il signor Orazio - . Vogliamo ribadire con chiarezza che l’apparecchiatura costata la vita a nostro figlio ci risulta essere fuori legge in molti stati europei. Da allora viviamo in uno stato di profondo dolore perché Luigi era il nostro unico figlio. Vorremmo incontrare le famiglie dei due sub sloveni scomparsi, ci piacerebbe poter fornire il nostro supporto in questo momento delicato anche in ambito legale. Nostro figlio è stato trattato senza il rispetto che meritava: le tre perizie eseguite da tre differenti professionisti, hanno fornito risultanti discordanti, non restituendoci la giustizia che ci attendevamo. Speriamo che la nostra denuncia non cada nel vuoto e che possa servire ad evitare nuove vittime».
(r.c. - il Piccolo)

venerdì 28 dicembre 2012

ANTONIO MONTEVERDE

L' incidente nel Mantovano. L' uomo si era calato sott' acqua con muta e respiratore

Artigiano annega in cantiere

E' stato travolto dai detriti mentre puliva una vasca di raffreddamento


OSTIGLIA (Mantova) - Il titolare di una ditta di spurghi subacquei è annegato ieri pomeriggio in una vasca profonda circa 5 metri, all' interno della centrale termoelettrica Endesa di Ostiglia, nel Mantovano. La tragedia si è consumata attorno alle 16. Antonio Monteverde, 62 anni, di Brescia, titolare della «Intervent sub», si era calato nella vasca con muta e respiratore, per ripulirla da fanghi e altre incrostazioni. Un lavoro che conosceva bene, visto che da trent' anni operava nel settore ed in passato era intervenuto più volte anche alla centrale di Ostiglia, di recente passata dall' Enel all' Endesa. Ma, ieri pomeriggio, qualcosa è andato storto. L' artigiano bresciano si è calato nella vasca interrata con un' imbragatura, la muta ed un respiratore collegato con un tubo a delle bombole di ossigeno. Monteverde stava ripulendo la vasca che contiente con l' acqua pompata dal vicino fiume Po utilizzando una pompa aspiratrice: probabilmente la massa di fango e detriti gli è franata addosso strappandogli il boccaglio. Secondo una prima ricostruzione, Monteverde avrebbe fatto in tempo a dare uno strattone al cavo collegato con la superficie per segnalare che qualcosa non andava. Alcuni suoi dipendenti e qualche operaio della centrale si sono subito dati da fare per riportarlo in superficie ma Monteverde è stato estratto dalla vasca con il volto oramai cianotico. Prima i colleghi e poi i soccorritori del 118 hanno subito tentato di rianimarlo, ma è stato tutto inutile. I poliziotti del distaccamento di Ostiglia e il personale del servizio Asl di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro stanno cercando di ricostruire l' esatta dinamica dell' incidenete. E' stata disposta l' autopsia sul corpo dell' artigiano bresciano: non è escluso infatti, che l' annegamento possa essere stato preceduto da un malore. Ma l' indagine dovrà anche accertare se siano state osservate tutte le procedure di sicurezza previste per interventi del genere. Quella di ieri è la terza sciagura del lavoro accaduta nel Mantovano in meno di un mese. Luca Angelini
Angelini Luca
Pagina 52
(6 marzo 2003) - Corriere della Sera

SIMONE RENOGLIO

La tragedia di Castel Giubileo, piange il sub sopravvissuto
"Tra la fanghiglia ho intravisto il vigile che mi passava una corda"
"Non dimenticherò quella mano
che mi ha salvato la vita"
La moglie del pompiere, incinta, sviene nella camera ardente
di MASSIMO LUGLI

ROMA - "Non ho visto il sommozzatore che si avvicinava. L'acqua era troppo torbida. Ero incastrato nella chiusa, avevo anche il vetro dello scafandro appannato. Tra la fanghiglia ho intravisto un braccio che mi porgeva una corda. L'ho afferrata e me la sono agganciata all'imbracatura delle bombole. Poi mi hanno tirato su, in salvo".

Parla e piange, piange e ricorda quei momenti terribili Paolo De Iure, il sub salvato grazie al sacrificio di Simone Renoglio, il vigile del fuoco che verrà proposto per una medaglia al valore civile. Dal suo letto d'ospedale, il tecnico della "Adriatic" trova la forza di ricostruire le sue tre ore di angoscia, imprigionato tra l'acqua e la melma di Castel Giubileo, davanti ai medici, ai parenti e agli agenti del commissariato di Montesacro, che lo hanno interrogato in serata. "Una parte di me è morta assieme a Simone - continua Paolo che resterà in osservazione ancora per due o tre giorni - non riesco ad esprimere a parole il dolore che provo per quello che è successo". La notizia, spiega il padre, Franco, gli è stata data dai medici e da allora il ragazzo non ha avuto pace. Soffre per i postumi dell'ipotermia e un trauma a una gamba, ma guarirà in fretta.

Vorrebbe dire qualcosa ai parenti del vigile?
"Gli sarò vicino per sempre, vorrei abbracciarli e ringraziarli per il sacrificio di quel ragazzo. Penso a tutti quelli che si sono prodigati per salvarmi, anche i miei colleghi della Adriatic sub che hanno avuto la freddezza e la professionalità per intervenire velocemente". Il giovane non riesce a trattenere un'altra crisi di lacrime. E' un racconto spezzettato, interrotto da lunghi, penosi, silenzi.

Cos'ha provocato l'incidente? Qualcosa di sbagliato?
"Assolutamente no. Solo una serie di sfortunate coincidenze. La causa di quello che è successo è soltanto il destino".

Era un'immersione rischiosa?
"No, non per noi. Era un lavoro di routine. Siamo abituati a intervenire in situazioni molto più difficili, abbiamo l'addestramento e la tecnologia necessari per affrontare il pericolo". Il sommozzatore pensa all'apertura della diga, all'acqua che tracima, inarrestabile, oltre gli argini, che travolge le barche e inonda le case. Si sente in qualche modo responsabile anche se non lo dice apertamente. "Mi dispiace, oltre che per Simone e la sua famiglia, che saranno sempre nel mio cuore, anche per tutti quelli che hanno sofferto, che sono stati danneggiati a causa di quello che è successo alla diga". Poi i medici interrompono il colloquio.
"E' un ragazzo molto sensibile - spiega il padre, Franco - non volevamo dirgli della morte del vigile, non ancora. Aspettavamo che si riprendesse ma quando siamo arrivati all'ospedale, purtroppo, lo sapeva già".

Franco De Iure, ieri pomeriggio, è andato assieme alla figlia alla camera ardente di Simone Renoglio, allestita nella sede del comando provinciale dei vigili del fuoco, in via Genova. Giacche verdi, tute rosso fiamma, un cordone di sommozzatori attorno alla bara, la salma del sub composta in un'espressione di pace, con il casco e il berretto blu ai piedi della cassa. In lacrime, il padre del ragazzo salvato da Simone ha abbracciato Stefano, il fratello della vittima, ha ringraziato il comandante del corpo, Luigi Abate, ha pregato singhiozzando davanti alla bara.

Scene terribili quando, alle 20, la sala ormai semideserta, è arrivata da Ostia la moglie Rita, agente di polizia che aspetta il secondo figlio, accompagnata dalla madre Rosa e dai parenti più stretti. Pochi passi verso il feretro del marito e la donna è crollata di schianto, svenuta. Urla, lacrime, il medico che accorre mentre il coro di lamenti copre le note della Messa da Requiem di Mozart. Poco prima, una sfilata di autorità: Giuseppe Pisanu, Gianfranco Fini, Enzo Bianco, Pierluigi Castagnetti il capo della polizia Gianni Di Gennaro, il sindaco Walter Veltroni, il presidente della provincia Silvano Moffa, il prefetto Emilio Del Mese. Paolo De Santis, che ha tentato di salvare Simone con la respirazione bocca a bocca, si china sul cadavere dell'amico e gli parla a lungo, con affetto, accarezzandogli la mano. "No, non sappiamo se aprire le paratoie della diga è stato uno sbaglio, sappiamo solo che quando una persona rischia la vita dobbiamo fare di tutto per salvarlo". Carlo Rosa, capo del nucleo sommozzatori, taglia corto con le polemiche, coi sussurri sempre più insistenti. Ora è il momento di piangere, la rabbia verrà dopo.

(16 gennaio 2003)

ELGA LEONI

«In situazioni di elevata probabilità di insorgenza (o peggio di abituale sistematica presenza) di numerose disfunzioni elementari e anche di primaria importanza», come quelle individuate «la probabilità che si verifichi l'evento incidentale tende alla certezza».

I consulenti Giorgio Chimenti, Mauro Marchini e Ivo Burbassi sono categorici: il mortale infortunio accaduto alla sub Elga Leoni nel pomeriggio del 19 giugno scorso non è classificabile fra gli eventi «rari e imprevedibili», ma era anzi quasi certo a fronte di tre precise premesse: inaffidabilità degli organi di comando della Palinuro II; attività subacquea in corso, contemporanea ad altri lavori; confusa gestione dell'emergenza a seguito dell'infortunio. I tre consulenti, nominati a suo tempo dai pm Danila Indirli e Stefano Stargiotti hanno concluso la perizia che è stata recentemente depositata in Procura. Sostanzialmente l'indagine preliminare sul gravissimo infortunio è ora al termine: spetterà al pm Stargiotti delineare le condotte colpose delle singole persone indagate e chiederne il rinvio a giudizio in relazione alla morte della giovanissima subacquea.
La perizia conferma gli scenari immediatamente emersi dalle prime indagini e soprattutto la carenza pressochè totale di una appena accettabile cultura della sicurezza per attività già di per sè pericolose come quelle subacquee, a bordo della Palinuro II. «Sono generici e superficiali» i documenti relativi all'analisi e alla valutazione di rischi; «non sono stati eliminati, ma anzi sono stati aggravati con modifiche improprie e con insufficiente manutenzione» i «rischi conseguenti a pericoli oggettivamente presenti»; inoltre sono mancate «informazione, formazione e partecipazione dei lavoratori in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro, tanto che i lavoratori subacquei non hanno ricevuto formali informazioni sul funzionamento della motonave e dei suoi apparati ausiliari; anzi lo stesso comandante dell'imbarcazione, Walter Leoni, e il motorista, Daniele Ricci non conoscevano il funzionamento di fondamentali organi di comando» della motonave. In particolare i due — secondo quanto da loro stessi dichiarato in sede di interrogatori — erano convinti che la «posizione di '0' del commutatore elettrico di trasferimento dei comandi dalle postazioni di plancia e controplancia» escludesse «la possibilità di manovre dalle predette postazioni» e quindi «ogni comando ai motori» fosse «azzerato». Una circostanza determinante, questa, se si tiene presente che le operazioni si svolgevano dalla controplancia e che Elga Leoni morì perchè il suo cordone ombelicale si avvinghiò all'elica di sinistra che era in movimento e invece doveva essere ferma perchè in folle doveva trovarsi la manetta per permettere all'albero di girare per azionare la gru di bordo. Non solo: c'erano organi di comando «non affidabili per ingegneria e inadeguata manutenzione». Elga Leoni si calò in acqua alle 15.01. Alle 14.45 Luca Cicognani, operatore tecnico della Dnt-Offshore srl (società che forniva personale per la gestione del robot subacqueo Rov), aveva chiesto al comandante e al motorista di recuperare, mediante la gru, il robot. Testimonierà Daniele Galvani, dipendente dell'Eni, 'assistente contrario' del committente: «Era prassi immergersi anche con motore acceso, poichè era convinzione di tutti che l'azionamento della gru del Rov, e quindi del motore della nave, non comportasse comunque il funzionamento dell'elica». Il fatto è che quel pomeriggio, secondo i consulenti, si realizzò in concreto proprio ciò che, in teoria, è rappresentato da un'equazione probabilistica che vede da una parte l'errore umano inserito nel contesto di un inaffidabile "sistema cantiere" e dall'altro il top event, ovvero l'infortunio. Leoni mise in moto il motore sinistro dalla plancia, il motorista Ricci andò a manovrare la gru e dopo pochi secondi le grida di Elga. Seguirono attimi concitati, «la gestione dell'emergenza diventa tardiva e confusa» scrivono i consulenti e dalla durata pressochè indefinibile. Si va da un minuto stimato da Leoni, a 4-5 minuti secondo la stima di Giulio Borghesi, operatore subacqueo della Marine Consulting, addetto a guidare l'ombelicale di Elga Leoni, agli 11 minuti riferiti da Alberto Mozzetto, della Dnt Off-Shore, sub addetto al Rov, durante i quali sembra che in molti abbiano perso la testa. Non si riesce infatti a fermare subito il motore, un sub, Stefano Lunardini, della Marine Consulting, si tuffa in acqua e poi riemerge gridando «l'elica gira, per poco non ci rimanevo anch'io», e solo allora il comandante Leoni andrebbe in sala macchina e spegnerebbe i motori (ma anche questa circostanza non è del tutto chiara), poi viene azionato di nuovo il motore (e quindi l'elica) per calare il Rov per capire dove fosse finita Elga Leoni e alla fine si tuffa di nuovo Lunardini e recupera il cadavere. Sottolineano i consulenti: «Non si può tacere la sorprendente, almeno per chi scrive, circostanza che, malgrado si fosse in presenza di un gran numero di sommozzatori professionisti, sia stato necessario, per individuare il corpo di Elga Leoni, rimettere in acqua il Rov senza che nessuno abbia sentito l'impulso a gettarsi in mare in apnea e con una semplice maschera anche intorno alla motonave e a distanza di sicurezza, tenuto conto della stagione estiva e del mare assolutamente calmo».
Da un articolo pubblicato in "Il Resto del Carlino"

FRANCESCO BENVENUTO


Bombola fatale fu un errore

GLI AVVISI di garanzia a suo tempo inviati per la morte di un giovane sommozzatore (Francesco Benvenuto, 32 anni, Frazione Teriasca 4 B, Sori morto il 25 ottobre a Calata Zingari, mentre caricava con un compressore una bombola d' aria stanno per concretizzarsi in qualcosa di ben più grave. Il piemme Francesco Pinto ha annunciato l' intenzione di chiedere il rinvio a giudizio di Silvano Gastaldo e di Angelo Senarega, rispettivamente titolare della Barracuda, una società specializzata in lavori subacquei e amministratore legale della stessa ditta. Le ipotesi di reato: concorso in omicidio colposo e inosservanza delle norme antinfortunistiche. Lo sfortunato Benvenuto venne raggiunto al mento dall' erogatore. A quanto pare, sarebbe stato accertato che si trattò di un tragico errore: l' allacciamento del rubinetto a una bombola che aveva una filettatura inadatta. Un interrogativo inquietante: si era preoccupata l' azienda di verificare la compatibilità fra rubinetterie e bombole? (ViC.)

mercoledì 26 dicembre 2012

AMAZAR JQBAL

CASSANO D' ADDA / Tragico incidente sul lavoro, il corpo dell' operaio pakistano non e' stato ancora recuperato

Sub annega nella centrale Aem

Risucchiato dalla pompa d' aspirazione mentre pulisce una vasca


----------------------------------------------------------------- CASSANO D'ADDA / Tragico incidente sul lavoro, il corpo dell'operaio pakistano non e' stato ancora recuperato Sub annega nella centrale Aem Risucchiato dalla pompa d'aspirazione mentre pulisce una vasca CASSANO D'ADDA - Risucchiato da una pompa d'aspirazione d'acqua alla centrale elettrica Aem. Non ha avuto scampo Amazar Jqbal, pakistano, di ventidue anni. Ieri mattina l'operaio stava lavorando in una vasca che raccoglie l'acqua utilizzata per raffreddare le turbine dell'impianto. Un lavoro che conosceva bene: da due anni era assunto alla Intervent Sub di Brescia come operaio sommozzatore. Ieri era appunto alla centrale Aem: l'impianto raccoglie l'acqua del canale Muzza e la convoglia in una vasca. Di qui due grosse pompe la aspirano, la portano alle turbine per condensare il vapore e poi tornano ad espellerla piu' a valle. Ma nella vasca si accumulano spesso sabbia e detriti: il pakistano doveva ripulire il fondo con una pompa. Si e' messo all'opera con due colleghi poco dopo le dieci: ha indossato la muta e l'imbragatura, poi ha collegato il respiratore con tre piccole condutture in cui passano aria, acqua calda per la muta e i cavi di una ricetrasmittente. Sul piazzale della centrale si apre una botola, pochi scalini piu' in basso c'e' la vasca: 25 metri quadrati di ampiezza e 5 di profondita'. C'e' solo una grata di protezione a separarla dalle pompe. Amazar e' sceso: qualche minuto e i colleghi hanno visto il cavo di respirazione muoversi, tendersi, tranciarsi di netto. Hanno subito chiamato soccorso: bisognava bloccare gli impianti, forse la griglia di sicurezza aveva ceduto e il pakistano era stato aspirato da una pompa. Sono passati lunghi minuti, scanditi dall'arrivo dei carabinieri di Cassano d'Adda, dei vigile del fuoco, delle autoambulanze. E' bastato poco per capire che Amazar non sarebbe piu' riemerso vivo. Ma restava almeno la speranza di trovarlo. Invece niente; la griglia era a posto, ma l'uomo era scomparso in una vasca di 5 metri per 5. Sembrava un mistero, poi hanno preso forma i primi dubbi, infine un'ipotesi: la griglia scende via via che la sabbia viene aspirata, ma in quel caso, forse, non aveva funzionato. Era cosi' rimasto un varco che aveva risucchiato il sommozzatore. Bisognava cercarlo al di la' della vasca, nelle pompe d'aspirazione o nei tubi che convogliano l'acqua alle turbine. Alle 16,30 i vigili del fuoco di Lecco lo hanno localizzato incagliato in una condotta. Il corpo non e' ancora stato recuperato: e' in una posizione pericolosa, si provvedera' oggi. Bisogna abbassare il livello del canale Muzza e ci saranno problemi alla centrale di Tavazzano, piu' a valle. Gli impianti di Cassano sono ancora bloccati, oggi iniziera' invece la mobilitazione dei lavoratori: "Questo incidente - si legge nel comunicato della Cgil di Milano - si e' verificato perche' le imprese ricorrono ad appalti esterni per limitare i rischi in proprio. Gli operai lavorano spesso senza rispettare le procedure di sicurezza per ridurre i tempi degli interventi, con attrezzature obsolete e raramente controllate dal personale della Aem". La protesta continuera' lunedi' con una manifestazione indetta dalle rappresentanze sindacali di base della Aem. "Una situazione insostenibile - ha commentato Carmelo Calabrese -, si e' lavorato con la centrale in funzione a scapito della sicurezza dei lavoratori".
Codecasa Leila
Pagina 49
(6 marzo 1998) - Corriere della Sera